Primo piano

Europa: Ottant’anni di Storia e la pace come progetto politico

 

di Michele Rutigliano (*)

Come tante altre civiltà, anche la nostra, quella europea ha radici molto profonde. La sua storia, infatti , non è solo una sequenza di guerre e conquiste, di imperi che si sono succeduti, spesso combattendosi tra loro. È anche — e soprattutto — la lenta costruzione di un’identità culturale e spirituale comune. Sin dalle sue origini classiche e cristiane, l’Europa ha cercato un equilibrio tra autorità e libertà, tra fede e ragione, tra diritto e potere. Lo storico latino Tacito, osservando i costumi dei Germani e la decadenza di Roma, offriva già allora una riflessione sul rapporto tra libertà e corruzione delle istituzioni. Quelle pagine contengono, in germe, un’idea che sarà fondativa per l’Europa moderna: la libertà è un bene fragile, da difendere con la virtù e il buon governo.

Nel Medioevo, la civiltà europea crebbe nell’intreccio tra fede cristiana, pensiero greco e diritto romano. I grandi cronisti medievali – da Gregorio di Tours a Otto di Frisinga – raccontavano le lotte tra Papato e Impero non solo come vicende politiche, ma come drammi morali e religiosi. Più tardi, Machiavelli avrebbe definito l’Italia “servo di stranieri” e posto con lucidità il problema della libertà dei popoli europei davanti alle potenze egemoni. E nel Settecento, Giambattista Vico, con la sua “Scienza Nuova”, offrì una visione ciclica ma sempre progressiva della storia, in cui l’umanità, dopo cadute e violenze, tende comunque a una maggiore civiltà.

Dalle macerie del Novecento a una speranza condivisa

Il Novecento ha rappresentato per l’Europa il secolo delle tenebre e della rinascita. Dopo due guerre mondiali, genocidi, totalitarismi e dittature, l’idea di “altri ottant’anni di pace” poteva apparire come una provocazione o una chimera. Eppure, dal Manifesto di Ventotene in poi, un manipolo di pensatori e politici illuminati ha saputo rilanciare l’utopia concreta di un’Europa federale, fondata sulla democrazia, sullo Stato di diritto e sulla cooperazione tra popoli.

Benedetto Croce, nel pieno della Seconda guerra mondiale, difese la “religione della libertà” contro ogni forma di assolutismo, fascista o comunista che fosse. Luciano Canfora, in epoca più recente, ha messo in guardia contro i rischi di una memoria storica selettiva, e ha ricordato come il progetto europeo debba mantenere viva la coscienza critica, erede dell’umanesimo e del pensiero classico. Denis Mack Smith e Franco Cardini, ciascuno con il proprio sguardo (l’uno più laico, l’altro più attento alla dimensione spirituale), hanno mostrato come l’identità europea non possa prescindere dalle sue radici cristiane, ma neppure ignorare i processi di laicizzazione e modernizzazione che ne hanno segnato la crescita.

La Chiesa, la pace e la nuova questione sociale

Tra le forze che hanno contribuito in modo decisivo a pacificare l’Europa e a farne maturare la coscienza civile, morale e spirituale, un posto centrale spetta senza dubbio alla Chiesa Cattolica. Non solo come erede di una tradizione millenaria, ma come presenza attiva, vigile e profetica nel cuore del continente. Dopo le tragedie del Novecento, è stata spesso la voce del Papa a richiamare i popoli alla riconciliazione, al perdono, alla costruzione della pace. Giovanni Paolo II, figlio della Polonia martoriata, ha avuto un ruolo chiave nel far crollare pacificamente i regimi comunisti dell’Est, ponendo al centro del suo magistero la dignità della persona e la libertà dei popoli. E Papa Francesco, in un’epoca segnata da nuove tensioni, diseguaglianze e guerre “a pezzi”, ha continuato a richiamare i leader mondiali alla responsabilità e al dialogo, con parole semplici e forti: «Tutto si perde con la guerra, tutto si guadagna con la pace».

Ora, con Papa Leone XIV, il messaggio sembra farsi ancora più urgente e profondo. Fin dal nome scelto — che richiama Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum, il primo grande documento sociale della Chiesa — il nuovo Pontefice ha indicato la direzione: affrontare con coraggio e discernimento la nuova questione sociale che si apre con l’irruzione delle tecnologie digitali, di Internet e soprattutto dell’Intelligenza Artificiale. Il rischio è che il progresso tecnico, se non guidato da principi etici e da una visione dell’uomo integrale, possa creare nuove forme di esclusione, solitudine, dipendenza e diseguaglianza. Il compito della Chiesa — oggi più che mai — è quello di illuminare questo tempo di transizione, richiamando al primato della persona e al bene comune.

Non è più un’utopia pensare ad altri ottant’anni di pace. È un compito affidato alle nuove generazioni, chiamate a costruire un’Europa più unita, più giusta e più consapevole del proprio cammino. Un’Europa che, pur nel pluralismo delle sue culture e delle sue storie, non smetta mai di credere nel potere civile della libertà, nella forza della democrazia, nel dovere della memoria. E anche — forse soprattutto — nel messaggio spirituale e universale del Vangelo, che ancora oggi può ispirare una nuova civiltà della pace.

(*) Giornalista

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