Sulla vicenda di Almasri – generale libico accusato di crimini di guerra, omicidi, torture e stupri – la Corte penale internazionale (Cpi) ha accertato “che l’Italia non ha rispettato i propri obblighi internazionali ai sensi dello statuto, impedendo alla Corte di esercitare le proprie funzioni e i propri poteri ai sensi dello statuto” stesso. Lo ha stabilito la Camera preliminare I del tribunale per crimini internazionali che ha sede a L’Aia, in un documento con cui – a maggioranza e con il parere contrario della giudice Flores Liera – “ha rinviato la propria decisione in merito alla questione se l’inadempimento dell’Italia alla richiesta di arresto e consegna di Osama al-Njeem (vero nome di Almasri) debba essere deferito all’Assemblea degli Stati membri o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.
Nelle loro conclusioni, le tre giudici della camera preliminare I de L’Aja ritengono “all’unanimità che l’Italia non abbia agito con la dovuta diligenza né utilizzato tutti i mezzi ragionevoli a sua disposizione per ottemperare alla richiesta di cooperazione” della Corte penale internazionale. Il governo, si legge ancora nel documento, non ha inoltre fornito “alcuna valida ragione giuridica o ragionevole giustificazione” per il trasferimento immediato di Almasri in Libia, “anziché consultare preventivamente la Corte o cercare di rettificare eventuali difetti percepiti nella procedura d’arresto”. Secondo le togate (la presidente della camera preliminare I, Iulia Motoc, la beninese Reine Alapini-Gansou e la messicana Maria del Socorro Flores Liera), nonostante “l’ampio tempo a disposizione” e i “ripetuti tentativi d’interloquire con il ministero della Giustizia italiano”, l’Italia non ha mai contattato la Corte per “risolvere eventuali ostacoli” relativi al mandato d’arresto e alla “presunta richiesta d’estradizione concorrente” da parte della Libia, impedendo così alla Cpi “di esercitare le proprie funzioni”.
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